25 luglio 2015

Storia di una collana, di un albero e di una vocale

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Qui oggi si sorriderà, si impareranno cose nuove e so già che mi arriveranno un sacco di fischi all’orecchio.

Cominciamo dall’inizio.

Era un giorno di festa, non ricordo quale. so solo che alla nostra tavola c’eravamo tutti. Papà, mamma, i miei fratelli, le mie cognate, tutti i nostri figli, una zia e una coppia di ‘compari’ (marito e moglie) acquisiti. Nel senso che il ‘comparizio’ era tra loro e un paio di miei zii, ma per amicizia, per affetto e, soprattutto, per rispetto, erano diventati compari di tutta la famiglia e quindi per noi erano al pari di parenti cari. Quindi ‘commara T.’ e ‘compare M.’  erano con noi quel giorno a tavola. Persone straordinarie, ricchissime di umanità, cultura contadina, buona volontà, generosità e rispettosi come pochi. Quindi da noi tutti amati. A tavola si parla tutti il dialetto, a volte l’italiano, a volte sbagliando magari qualche finale, incrociando a/e/o, in maniera casuale, come si usa in puglia.

Loro sono state le nostre guide quando abbiamo iniziato a raccogliere le olive per fare l’olio, quando volevamo delucidazioni sull’orto e sui concimi naturali, su tempi e modalità di aratura, taglio dell’erba e potatura…. ecc….. insomma i nostri maestri.

E così quel giorno a tavola si parlava della differenza tra ‘fioroni’ e ‘fichi’, che qui da noi è fondamentale, mentre altrove si chiamano tutti sempre e solo fichi.

Noi in campagna abbiamo solo un albero di fichi, che però non porta molti frutti, nonostante ne spuntino tantissimi, ma poi piano piano cadono quasi tutti, lasciandone solo alcuni. E chiedevamo delucidazioni.

Allora il compare M. iniziò la sua spiegazione. ‘Non tutti gli alberi producono sempre i frutti. Dipende se sta vicino il maschio, oppure no. Per questo anche per il castagno bisogna piantarne due o tre, perchè siccome non si sa come sono, si spera che su tre almeno due sono maschio e femmina’.

‘infatti’, dicevo io, ‘ tutti i castagni a noi sono seccati. Vuol dire che erano tutti uguali. E per i fichi, compare, cosa possiamo fare?’

E lui, ‘Devi usare un metodo vecchio. Devi andare al mercato e devi comprare la collana dei ‘prefìsc’, e l’appènn all’àrv,  che quella, la moscerina, va nella fica e avviene l’impollinaziòòòn’.

Silenzio generale.

A quel punto mio marito disse: ‘Fermati compare, che mi sa che hai preso una strada pericolosa’.

E di li si scatenò l’uragano delle risate, che bloccarono per almeno una mezz’ora l’intero pranzo, con mani sulla pancia e sulla bocca, lacrime agli occhi e pericoloso dondolio di sedie.

ehm ehm….

E così abbiamo capito che per far fruttificare il nostro fico, bisognava portare la collana di frutti di ‘caprifico’  e aspettare la grazia degli insetti impollinatori.

Che poi, mi son sempre chiesta, perchè tutti i gli alberi hanno nomi maschili e i frutti nomi femminili e solo per l’albero del fico questo non succede?

Tutti malpensanti eh?

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28 febbraio 2015

FORMAGGIO PRIMO SALE

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E qui faccio outing. Sono stanca. Direte ‘tanto piacere, chi non è stanco?’- Si ma io sono stanca di cucinare. Accorruomoooo! Se una che ha un blog di food dice questo è finita. E invece trattasi di revisione delle proprie priorità. E si… perchè il cibo è una compagnia meravigliosa, un mezzo di comunicazione, di amore, di consolazione vabbè … ma quando o per motivi di … rotondità, o per ragioni di blog comincia a creare ansia allora bisogna ridimensionare la cosa. Io non ho mai desiderato diventare una chef anche perchè per formazione, propendo più per la letteratura, e non ho voglia di impegnarmi per creare accostamenti arditi, o paste madri che poi mi muiono, o pani straordinari, o piatti stupefacenti. Io sono più un tipo pane e pomodoro, pezzettino di ventresca arrostita,  o pane e marmellata, o pasta veloce inventata al momento. Io voglio parlare solo di quello che conosco e preparo a casa mia e nella terra mia.  E non so portare avanti battaglie contro farina bianca, zucchero raffinato, contro chi mangia carne, o beve il latte, o non fa la dieta del limone…. madonna mia, io voglio mangiare tutto quello che mi va, anche la nutella, ecco l’ho detto, senza l’ansia di sfruculiare animi che si scandalizzano…. E allora… torno alle cose ‘di base’, quelle che stanno ‘all’inizio’. Lascio agli altri poi la voglia di trasformarle in piatti speciali.
Da tempo avevo il desiderio di preparare i formaggi semplici che qui da noi si trovano ovunque e che per questo era inutile fare in casa. Poi mi son detta che sarebbe stato bello provarci e magari insegnarlo anche ad altri. E così, dopo aver comprato il caglio, il termometro da latte, la vaschetta con la griglia, i fuscelli (anzi no, quelli li avevo già) e aver individuato la masseria giusta (di quelle che lasciano pascolare le mucche nel prato e non le nutrono solo di mangime, per intenderci), e il periodo giusto…. ho iniziato l’avventura. Perchè avventura è stata.
La prima volta più che un formaggio primo sale è venuta una ciofeca molle… Non ‘quagliava’ e sono rimasta li a pensare a cosa avevo sbagliato. La seconda volta è venuto bene. E ora vi spiego come ho fatto.
Bisogna individuare un luogo (masseria, campagna, rivenditore, a piasèr) dove vendono il latte vero.
Bisogna procurarsi un minimo di attrezzatura, quella elencata su.
e cominciare…
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- 3 litri di latte intero e freschissimo
- 4 ml di caglio (un cucchiaio scarso)
- un cucchiaio raso di sale grosso

Versare il latte in una pentola di acciaio. Misurare spesso la temperatura del latte con l’apposito termometro, fino a quando raggiungerà i 75°. Attenzione non superare assolutamente questa temperatura, altrimenti non si coagulerà in maniera corretta.

Aggiungere il sale e girare per farlo sciogliere.

Immergere la pentola in una vaschetta con acqua fredda fino a quando la temperatura scenderà a 37°.
Aggiungere il caglio e mescolare per almeno 3 minuti. Coprire e aspettare circa mezz’ora.

Sbriciolare la cagliata con una frusta e con un mestolo forato raccoglierla e versarla nei fuscelli,  (potete usare anche i fuscelli stessi per raccogliere la prima cagliata)
Mettete i fuscelli  a scolare nella vaschetta con la griglia, per raccogliere il siero.
Lasciarlo a scolare per qualche ora, finchè si compatta.
Tutto qui.

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6 novembre 2014

Le case e le cozzelle.

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Stamattina il caffè ha un sapore più dolce del solito.  E ho l’impressione che questo addolcisca tutto quello che penso e quello che vedo.

Ieri è stata una giornata di messaggi. Alcuni brutti, di quelli che la mattina quando ti alzi, sai già che forse arriveranno, perchè ti svegli quasi come un senso di attesa fastidiosa, che svanisce all’improvviso, quando senti il ‘din’ giusto. Non tutti i ‘din’, ma tra tanti il tuo cuore lo sa qual è e te lo prepari ad ascoltare. E ascolti….

Poi, a sera tarda, ne arriva uno bello, anche quello lo aspettavi da tempo, ma non sapevi quando sarebbe arrivato. Ci sono cose della vita che, nonostante la tua caparbietà, la tua forza di volontà, non puoi forzare. Ci sono situazioni e scelte che si sistemano da sole, perchè devono seguire il proprio corso. C’è un tempo per tutto… e tu non puoi comandare sul tempo. E’ come se qualcuno avesse deciso per noi da molto, quale debba essere il percorso che dobbiamo fare. E a noi non resta altro da fare che chinare il capo e accettare tranquillamente. Ho alzato mille volte la testa e i pugni, per lottare, con forza e urlando, ma mai, dico mai, ho ottenuto quello che volevo. Ho dovuto aspettare. E poi quasi magicamente le cose hanno fatto il loro corso e le soluzioni sono arrivate.

Io ho scelto lei e lei ha scelto me. Quando si va in giro in cerca di una nuova casa, non bisogna mai studiarne i particolari o ostinarsi a ragionarci su. Si parte da quanto puoi spendere e si scartano subito i sogni impossibili. Tra quelli raggiungibili si entra con cuore aperto e bisogna afferrare al volo la prima sensazione che vivi. La prima e solo la prima. Quelle che seguono sono di contorno e di affinamento. E’ il primo assaggio. Come di un vino, di una buona cioccolata, di un piatto speciale. Devi catturare la prima impressione. E su quella ragionarci. Capire il perchè,  e vedere se tutte le risposte bastano ad accettare anche le cose che non vanno. Poi si va via e ci si dorme su. E la scelta viene da se. Se non ti torna in mente più significa che non ti è entrata dentro. Se invece cominci a pensarci significa che ‘si può fare’,  si può tentare….

Di certo farò mie le storie che mi racconterà, le storie di chi ci è passato, assorbite dai muri e dagli oggetti che troverò. Perchè se in una casa c’è stato amore, amore si respirerà.

Inizia ora una nuova fase della mia vita. Un nuovo capitolo. Una nuova casa da vivere, da aggiungere a quelle che ho. Aprirò un nuovo spazio, fuori e dentro di me. Vivrò un pò qui e un pò li, vagabonda per raggiungere chi amo, sempre con la valigia pronta.

Vedremo (anche perchè non si conosce bene la data di inizio di questa avventura….)

Ora passiamo alla ricetta.

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Anche in questo caso aspettavo il momento giusto per pubblicare questa ricetta. E, aspettando aspettando, è arrivato. Oggi si parla di ‘cozzelle’, come si chiamano da noi le lumache. Si si, proprio quelle che si portano la propria casa con se, sempre e ovunque. Quasi una metafora di quello che siamo anche noi, che ovunque ci spostiamo, ci portiamo dentro quello che davvero è casa, i nostri affetti.

Ogni luogo ha la sua ricetta per le lumachine, e io qui vi racconto la mia. Ricetta e storia.

Nei giorni di estate, dopo gli acquazzoni che profumano l’aria di buono, quando i campi sono pieni di ‘rstùcc’, gli steli tagliati dopo la mietitura, si aspetta che il caldo faccia venir fuori le lumache. E così, dopo la pioggia, magicamente compaiono, tutte appollaiate sugli steli, sulle pietre dei muretti a secco, sui tronchi degli alberi di mandorlo, di ulivo e di ciliegi. E allora tutti dicono… ‘Dai, andiamo a cozzelle?’. E si va a raccogliere tutte queste sprovvedute, che comunque non potrebbero mai scappare, scansando quelle sulle erbe amare. Si mettono in un contenitore che si può coprire, perchè prima o poi, rendendosi conto della fregatura, tentano di scappare, lentamente, venendo fuori e salendo salendo nel cesto, verso l’uscita.

Certo questa ricetta è crudele, ma appartiene ad un tempo dove non si badava tanto a fare gli animalisti. Era buona e basta, faceva parte quasi del gioco della vita, dove animale mangia animale e basta. E le cozzelle erano semplicemente uno dei piatti estivi, raccontato e sognato,  passeggiando con i bambini nei campi. E basta. Quindi ora, chi è troppo sensibile per continuare, si fermi pure qui.

Si portano a casa e si mettono a ‘spurgare’, brutta parola, ma necessaria. Per un giorno almeno, in uno scolapasta coperto. Devono ‘liberarsi’ del superfluo prima di essere cucinate. Quindi si lavano e si mettono in una pentola alta, in acqua fredda, sul fuoco medio. E la crudeltà sta proprio qui. Non bisogna far capire loro la sorte che li aspetta. Accarezzate dolcemente dall’acqua che diventa tiepida, vengono fuori, ignare. Appena fuori, si alza la fiamma per …. continuare. Si formerà una schiumetta che va tolta. A questo punto si aggiungono gli aromi. Origano, pomodori, prezzemolo, aglio, un filo d’olio e una foglia di alloro. Si copre con un coperchio e si fanno cuocere per almeno un quarto d’ora.

Per gustarle al meglio e in maniera primitiva, si mangiano succhiandole (ma gli schizzinosi, le prendono con lo stuzzicadenti). Per facilitarne l’uscita, con i denti si fa un piccolo buco nel guscio, ma bisogna aver acquisito una certa abilità, dopo anni e anni di allenamento, per capire qual è il punto esatto. Decisamente non è un piatto proprio raffinato, ma più uno sfizio ricercato, per chi non ha paura di sporcarsi, e per chi non si innervosisce a sentir gli altri fare quel rumore inevitabile e fastidioso dei tentativi di … aspirazione della lumaca.

A me piace e mi ricorda la mia infanzia, quando ancora, non si alzavano polveroni al suon di ‘Che peccato le cozzelle!’. Ma la prossima estate, provate anche voi e poi ne riparliamo.

Alla prossima.

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9 febbraio 2014

Fusilli con ricotta calda e sugo di pomodoro e porro fritto

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Dlin dlon. Apri la porta e trovi una cara amica con suo marito che vivono in campagna. Passando passando, si son fermati a casa mia per portarmi un pò di cose del loro orto: broccoli, cime di rapa (già pulite e lavate), cicoria, qualche cavolo. Visto che hanno anche ‘quagliato’ e fatto formaggio e caciocavalli, mi hanno portato due fuscelli di ricotta ancora calda che ‘devo tenere a scorrazzare per far uscire il siero’.

Mannaggia è calda davvero e mi ci vorrei proprio tuffare in tutta quella ricotta, ma dicono che può far venire il mal di pancia all’istante. Vabbè, l’assaggio, poco poco, piena di burro e ancora qualche pezzo di formaggio molle. Vabbè oggi si mangia presto e metto su l’acqua per la pasta. Le chiedo ‘volete mangiare qui'?’, e lei ‘ no, no, dobbiamo ancora fare il giro per le verdure sai, siamo solo di passaggio, ma magari un’altra volta dai. Ma che farai della ricotta?’ E io, la faccio con la pasta e il sugo di ‘spunzèl’. Poi mi accorgo che non ho gli sponzali e deciso di sostituirli con i porri che giacciono in paziente attesa di qualche vellutata, li nel cesto.

Questo fantastico sugo che mi fa tornare in mente quello che faceva mia nonna, che alla fine del piatto faceva una scarpetta saporita con ‘coppole e spunzel’ sul pane.

Però non resisto e mi preparo anche un antipastino veloce. Bruschetta calda e croccante con ricotta, pomodorini e capperi. Filo d’olio buono e qualche verdurina cruda per accompagnare.

Beata me!

Fusilli con ricotta calda e sugo di pomodoro e porro fritto (english version below)

per 2 persone

- 1 porro

- 4 cucchiai di olio extravergine di oliva

- un barattolo di pelati

- 200 g di fusilli (o altro tipo di pasta a piacere)

- 300 g di ricotta freschissima

Versare l’olio in una pentola. Pulire il porro e ricavare delle rondelle dalla parte bianca. Farlo rosolare velocemente nell’olio e versare i pelati, che schiaccerete con una forchetta. Salare quanto basta e far cuocere per circa 10 minuti.

Cuocere la pasta in abbondante acqua salata. Quando mancano un paio di minuti per scolarla, in un’altra pentola versare mezzo bicchiere dell’acqua di cottura della pasta e la ricotta. Far sciogliere la ricotta e farla riscaldare. Scolare la pasta e versarla nella pentola con la ricotta. Amalgamare il tutto. Servire con il sugo caldo.

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Fusilli with warm ricotta and tomato sauce and fried leeks

for 2 people

- 1 leek

- 4 tablespoons of extra virgin olive oil

- 1 can of peeled tomatoes

- 200 g fusilli (or other type of pasta to taste)

- 300 g of fresh ricotta

Pour the oil into a pot. Clean the leek and cut only the white part. Quickly pour in the oil and sauté the tomatoes.  Add salt to taste and cook for about 10 minutes.

Cook the pasta in  salted water. When missing a couple of minutes to drain it,  into another pot, pour half a glass of water from the pasta and ricotta. Melt the cheese and let it heat up. Drain the pasta and pour into the pan with the ricotta. Mix all together. Serve with the tomato sauce warm.

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23 gennaio 2014

L’olio e i dolci tesori nascosti di Bitonto

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Lascio ancora una volta che siano i sapori della mia Puglia a parlare per me. E’ stato un salto, ma davvero un salto di mezza giornata, in questa città conosciuta bene di nome, ma mai visitata abbastanza. E ho scoperto ancora quanta bellezza la mia regione può regalare. E soprattutto quanta laboriosità e fantasia può generare tanta bontà.

Siamo figli di una terra generosa, baciata davvero dal sole. E la sua luce la avverte colui che mette piede per la prima volta qui, in mezzo agli ulivi e alla terra scura. E noi la ritroviamo al ritorno da altri posti e ce ne stupiamo sempre.bit2

Sono stata invitata a partecipare all’ultima tappa del Girolio, splendida iniziativa dell’Associazione Città dell’Olio, che ha toccato terre d’Italia ricche di ulivi e di mani che  raccolgono e producono questo dono prezioso che è l’olio extravergine di oliva. Data un pò scomoda, proprio sotto Natale che mi ha permesso di organizzare al volo solo un salto per un giorno. Ma è stato intenso e ricco di nuove conoscenze e di cose belle da vedere e imparare.

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Certo l’inizio è stato dolcissimo. Incontro le altre foodblogger partecipanti (Patty, Benedetta e Cristiana) in un posto ideale per noi amanti golosone del cibo. Una ‘capatina’ al laboratorio di pasticceria artigianale Boccabò di Amedeo e Mariella Savoni, dove io arrivo in ritardo e baldanzosa, sicura delle mie certezze pugliesi, del fatto che quasi quasi vi parlo io delle nostre specialità. E a chiudermi la bocca (in tutti i sensi) trovo delle prelibatezze a me sconosciute, i boconotti di ricotta e pasta sfoglia sottilissima e i cannoli di pasta di cartellate e crema, ma buoooone, così buone che c’era da emozionarsi per davvero. E poi scopriremo andando in giro per la città che questo laboratorio è il più famoso e tutti tutti quanti si servono da loro e serve un largo anticipo per prenotare i loro vassoi pieni di dolci.

E così continua la nostra passeggiata alla scoperta di antichi forni, che  sfornano focacce ricche di patate e olio,  pane bollito e poi cotto, e dolci strepitosi.

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E ad ogni angolo è la città stessa che ci stupisce, regalandoci scorci affascinanti. E la nostra guida preparatissima Chiara Cannito ci racconta la sua storia.

E tra viuzze e archi magici, piazze lastricate ancora di chianche,  una lezione di orecchiette tenuta a casa sua dalla mitica suocera di Chiara, e una lezione di fotografia analogica del cognato di Chiara, si è conclusa la mattinata a Bitonto, fino ad un break tipico a base di purè di fave bianche e cicorie, friselle al pomodoro e i cannoli alla crema di Boccabò (gnammmm).

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Nel pomeriggio siamo andati a visitare un’azienda particolarissima. Il Feudo della Verità, della famiglia Delorusso, è un’azienda che produce e trasforma sia olive, che mandorle e ciliege, gestita dalla giovane e in gamba  Francesca Delorusso, brava padrona di casa che ci ha fatto da guida.

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Qui abbiamo brindato con l’olio nuovo e non abbiamo potuto resistere alla tentazione di assaggiare le mandorle zuccherate ancora calde, che loro producono e vendono anche online.

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Tante le cose da fare, assaggiare e vedere in questa bella città. Tante le sorprese riservate a me che sono pur  pugliese.

Ed è arrivata in fretta la sera.

Che vita fantastica quella delle foodblogger!

E che cose uniche organizza l’Associazione Nazionale Città dell’Olio!!!

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28 agosto 2013

La salsa di pomodoro

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Bottiglie pronte? via….

E’ un rito che si ripete ogni anno. Anche nelle parole, anzi negli ordini.

‘Anna prenotiamo i pomodori, che sta finendo il periodo e poi non sono più buoni. Allora prenota due parti di fiaschetti e una parte di quelli di Mola, tipo Sammarzano’. ‘Mamma ma guarda che è quasi Ferragosto, poi va a finire che lavoriamo proprio il giorno di festa’. ‘ Se piove non la possiamo fare più, vai e prenota’. Ubbidisco, anzi ‘ubbidiamo’, perchè io, mio marito, i miei figli, siamo tutti soldati sugli attenti.

E così si inizia il lunedi a ‘spricinare’, cioè ‘togliere i pricini' (cioè il picciolo del pomodoro) e a rilavare tutte le bottiglie e a metterle sottosopra. Questo è lavoro mio. Quello di mia madre è mettere fuori l’artiglieria, dalla macchinetta gigante da stabilimento di conserve, alle vasche/vaschette/brocche/supermestoligiganti ecc. e sistemare tutto in maniera organizzata e logica, affinchè le sequenze si svolgano in un raggio d’azione strettissimo e consecutivo.

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IL giorno dopo la ‘spricinatura’ si passa rigorosamente al LAVAGGIO dei pomodori, BOLLITURA in due caldaie per non perdere tempo, SCOLATURA in un cesto forato, PUNTURA dei pomodori che ancora non sono scoppiati, MACINATURA dei pomodori, RIPASSATURA delle SCOPPOLE (le bucce dei pomodori già passati che, anche se li ripassi per la terza volta esce sempre la salsa), IMBOTTIGLIAMENTO DELLA SALSA, TAPPATURA delle bottiglie fino al click del tappo nuovo, che quello vecchio non si deve MAI riusare sennò entra l’acqua o scoppia la bottiglia. Quindi BOLLITURA a bagno maria delle bottiglie nelle caldaie giganti.

Ora le frasi che le mie orecchie sentono da quanto ero piccola sono state sempre….

‘i pomodori spaccati non si buttano, ma si raccolgono e si cuociono subito oggi per la pasta’. Prima dell’avvento della macchinetta elettrica, si ‘girava la manovella’ della piccola macchinetta a mano e mia madre mi ripeteva come un mantra ‘gira, gira, non ti fermare sennò manco a mezzanotte finiamo’; e al mio ‘mamma mi fa male il braccio’ la sua risposta era sempre ‘dai gira, poche storie (anzi in verità diceva ‘non fare le mosse, muoviti’). Poi non ci si poteva fermare a parlare perchè temeva che potessimo rendere meno e diceva sempre ‘scià muovetevi, non perdete tempo, poche chiacchiere’. E io e mio padre sospiravamo pazienti.

Poi l’invito (se se invito, l’ordine perentorio!!!) a pulire tutto il piano da lavoro, continuamente, perchè ‘nell’ordine e la pulizia si lavora meglio!’ Al momento di riempire le bottiglie l’urlo era ‘ non le fare piene, ma nemmeno mezze vuote. Due dita sotto il bordo’. ‘Mi raccomando non sporcare le bottiglie che poi non si riesce a chiuderle bene che scivola la mano’. E poi si rivolge al ‘tappatore ufficiale’, invitandolo a proteggersi le mani per non farsi venire le bolle e a sentire il famoso ‘click’ altrimenti la bottiglia si aprirà durante la cottura.

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E prendi e lava e riempi e tappa le bianche bottiglie e sistemale in ordine nella caldaia, ‘tappezzata’ sul fondo di un panno bianco per non farle poggiare direttamente a contatto con la pentola.

Insomma, una serie di ordini che mi ha permesso, anno dopo anno, di imparare che con la fatica, la pazienza e, soprattutto, la compagnia, il rito della salsa è una meravigliosa tradizione che, spero non finisca mai.

La ricetta è semplicissima. Solo pomodoro bollito, passato, imbottigliato e sterilizzato. Senza aggiungere sale o basilico.

E poi il rito si conclude con il passaggio diretto dell’ultima salsa nella pentola bassa, con una cipolla, olio extravergine di oliva e foglie di basilico. Cotto il tempo di far cuocere la pasta. Per l’assaggio in diretta della salsa ‘di quest’anno’.

Negli anni della infanzia c’erano delle varianti, per fortuna ora superate. Le bottiglie vuote della birra da riempire con i pomodori a pezzetti e il basilico, che dovevi sbattere su un panno per far ‘sistemare’ all’interno i pezzi, da tappare con il tappo di metallo e l’apposito attrezzo. E in più si completava la dispensa con i  barattoli dei pelati. I barattoli dei pomodori a pezzetti e peperoni e basilico. I barattoli di pomodori interi, coperti di salsa e tutto quello che poteva essere inventato con il pomodorino fresco..

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Certo il sapore della salsa, condito con i mille discorsi fatti con mio padre, intermezzati dai rimbrotti di mia madre, aveva un sapore meraviglioso, di giornate dedicate a noi e a chi poi sarebbe andata la salsa… ma resteranno un tesoro sempre e solo mio, che mi son per fortuna goduta io per tanti tanti anni. E che ora continuiamo non perchè dobbiamo, ma perchè vogliamo continuare a far festa lavorando insieme.

Fortunato chi la fa e soprattutto, desidera farla con questo spirito.

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26 giugno 2013

Nocino di Noci

noci x nocino

Seduta fuori nel mio balcone, tra vasi di surfinie e lantane, assaporo finalmente l’aria fresca del tramonto. E’ giugno. Desiderato per quasi un anno, è arrivato. Ci ha regalato una ventata di caldo soffocante, ma oggi ha avuto pietà di noi. Oggi è fresco, e mi sto godendo un momento di relax, prima di continuare ancora la mia corsa. Di fronte a me un barattolo di vetro, messo al sole durante il giorno, e che devo ricordare di mettere all’interno della casa per la notte. E si, perchè io, che abito in un paese che si chiama Noci, sto preparando il nocino.

Circondato da leggende, tra racconti di streghe e folletti, circola in rete in una miriade di ricette tutte diverse una dall’altra, per dosi e modalità di esecuzione.

Un giovane albero della mia campagna, mi ha regalato tante noci quest’anno, e allora diligentemente ho aspettato la notte di San Giovanni, come da tradizione, e ho fatto la mia raccolta.  Ma…. tra magie e incantesimi bisogna sapere che:

noci e spezie per nocino

1) ancora non esiste un numero ufficiale di noci. Chi dice grandi, chi piccole e tenere. Chi dice 33 per litro, chi 20, chi 22, chi 40… insomma ancora il numero è variabile.

2) Considerate le leggende dovrebbero essere raccolte da ‘una donna esperta, che a piedi nudi deve salire sull’albero e sceglierle una per una…’ Ma su un libro antico di ricette dei padri benedettini, ho letto che invece le noci devono essere colte ‘da mani di vergini ma che, considerati i tempi, possiamo anche raccogliercele da noi’.

3) chi dice all’alba, chi dice al tramonto, chi di notte.

4) chi dice di tagliarle e basta, chi invece consiglia il coltello di ceramica.

5) chi dice di mettere prima lo zucchero, chi dopo. Chi con acqua, chi senza.

6) per fortuna lo sbattimento del contenitore e l’esposizione al sole prolungata per 40 giorni è uguale per tutte le ricette.

Insomma, anche per fare il nocino diventa una questione di scelte.

E io ho scelto di farlo così….

(Certo per il risultato ci vediamo a Natale)

noci x nocino in infusione

Nocino

Il giorno che precede la festa di san Giovanni (e cioè il 23 giugno), verso il tramonto raccogliere con delicatezza 30 noci acerbe. In realtà ne serviranno 20, ma non si sa mai, ce n’è qualcuna ammaccata o avariata…

lavarle accuratamente, tagliarle in 4 con un coltello possibilmente di ceramica per evitare che ossidandole si anneriscano e versarle in un contenitore di vetro abbastanza capiente.

Aggiungere un pezzo di stecca di cannella, 5 chiodi di garofano, la buccia di mezzo limone e, secondo il gusto personale di mio marito, anche un fiore di anice stellato.

Coprire con 750 g di alcool a 95°. Chiudere il barattolo, agitare il tutto per farlo amalgamare ed esporlo al sole per 40 giorni e rientrarlo in casa di notte. Scuoterlo di tanto in tanto.

Fra 40 giorni cosa farò…..

Bollirò 2 dl di acqua con 500 g di zucchero. Farò raffreddare e aggiungerò l’alcool con le noci e le spezie, filtrando il tutto. Imbottiglierò e lo lascerò al buio fino a Natale. E poi vi dirò!

noci x nocino tagliate

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15 aprile 2013

‘Brasciole’ al sugo

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MI è capitato spesso, viaggiando in giro per l’Italia, di leggere sui menù ‘Braciola’ e, da ignorantona meridionale campanilista, di pensare ‘iiiiiii pure qua stanno le brasciole’. Ovviamente dallo sguardo distaccato e un tantino supponente del cameriere ho capito che stavo per fare, anzi avevo già fatto la mia figura. E si, perchè io mi sento cittadina del mondo, ma nel senso che penso che nel mondo tutti capiscono subito quando ordino un espressino, i  gnumeredd, un piatto di cocomeri, il salame del Papa…. ecc…. e poi puntuale, mi ravvedo e arriva la consapevolezza. Vabbè, proprio sul fatto del salame del Papa, è meglio sorvolare che un cameriere di Roma si mise in confidenza e mi diede una risposta che ancora mi fa arrossire…. ehm ehm….

Comunque qui nella mia terra, quando uno ti dice ‘che dici facciamo il ragù di brasciole?’, significa che vuole il ragù fatto non con la carne mista, quello classico (eccallà, classico….) che potrete vedere qui –> http://www.annathenice.com/2012/01/il-ragu.html) ma con le fettine di carne (non inorridite…. magari di cavallo o di ‘ciuccio’) imbottite con alcuni aromi….

Per favore non cominciate a fare le polemiche, cavallo non cavallo, asino non asino… vegetariano o carnivoro… Nella tradizione, quando imperava la fame, tutte queste ‘chiacchiere’ (messo apposta tra virgolette, sennò si scatena il giubileo sul web)  o questa ‘libertà di scelta’ non esisteva. Imperava solo la fame e tutto quello che Dio aveva creato era commestibile. E poi nella tradizione resta solo quello che è buono e quello che supera l’ingiuria del tempo e delle opinioni.

Ovviamente il sugo serve per condire le CLASSICHE orecchiette… voglio vedere se queste non sono internazionali….

e ora, veloce, la ricetta….

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Brasciole al sugo

- 1 o 2 fettine (di vitello, cavallo, asino) a testa

- aglio

- prezzemolo

- sale e pepe

- parmigiano a pezzi

- peperoncino (facoltativo)

- olio extravergine di oliva

- cipolla bianca

- salsa di pomodoro

- vino bianco o rosso

- foglie di alloro

 

Disporre su un tagliere la fettina e, se potete e se volete, batterla con un batticarne per renderla più tenera.

distribuire su tutta la lunghezza pezzettini di aglio, foglioline di prezzemolo, pezzetti di parmigiano, pochissimo peperoncino (ma non è indispensabile eh? solo per chi gradisce), un pizzico di sale e una macinata piccola di pepe nero.

arrotolare dalla base più stretta verso quella più larga e fissare bene la chiusura con due o tre stuzzicadenti o con uno spago alimentare.

In una padella larga versare l’olio e mettere le brasciole. Far rosolare da tutte le parti. Salare.

Aggiungere un pò di vino e far sfumare. Aggiungere la cipolla tagliata fine fine che poi alla fine si scioglie. Rosolare ancora un pò e aggiungere la salsa di pomodoro e le foglie di alloro. Aggiustare di sale e far cuocere a fuoco lento per un paio d’ore ma andate a controllare ogni tanto che non si attacchi sul fondo).

Condire le orecchiette.

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18 marzo 2013

Pace

ridottepalme55  Pensavo fosse arrivata la primavera. Ma sabato scorso per un attimo siamo rimasti tutti stupiti, aprendo la finestra. Ma cos’era quello che si vedeva volare? L’aria gelida era piena di petali bianchi che svolazzavano qua e la… oppure…. era neve? Ma si era neve, ed era arrivata puntuale per rendere speciale la giornata del mio corso per l’intreccio dei rami di ulivo. Amiche che son venute da lontano hanno lasciato la loro casa con il sole e, man mano che si avvicinavano al mio paese, son rimaste sbalordite, quasi si trovassero in un altro tempo e molto distanti da qui, di fronte ad una tormenta di neve. Comunque siamo andate tutte al mio magico trullo, dove ci aspettava un camino acceso,  cose calde da bere e una crostata di ricotta e ciliege, e un corso dove imparare ad intrecciare rami di ulivo. E la magia c’è stata. E’ bello ritrovarsi, tra donne che non si conoscono tra loro, e cominciare a parlare come se invece ci si conoscesse da sempre. Davanti ad un camino e a cose buone da mangiare, si crea subito empatia. E poi c’era la curiosità, tanta, per quello che dovevamo imparare e fare. Abbiamo cominciato a parlare, a spiegare, a raccontare. Poi siamo andate fuori, al fresco, tra petali di ciliegi che volavano e neve che cadeva e abbiamo raccolto i rami buoni per l’intreccio.

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corso palme

E poi di corsa dentro, con la luce del sole che stranamente splendeva nonostante tutto. E insieme abbiamo imparato un rito antico che nella sua semplicità parla del tempo che abbiamo dedicato a chi riceverà quel ramo, della cura nel renderlo perfetto e bello, del momento in cui, innalzato al cielo, sarà benedetto per portare pace nelle case. Grazie a chi ha partecipato e reso bella, con il suo entusiasmo, questa giornata.

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25 febbraio 2013

Corso di intreccio di rami di ulivo per le Palme

locandina corso di intreccio palme

Ogni anno la mattina della domenica delle Palme si ripete una strana magia. Fatta di silenzi devoti, di gesti antichi e mani callose che innalzano al cielo fascine di rami di ulivo. Intorno c’è sempre freddo, tanto, ma anche un profumo che preannuncia il miracolo della primavera. E, credenti o no, ci si lascia coinvolgere da un rito antico davanti a cui tutti abbassano la testa in segno di rispetto. Dalle 7 di mattina ci si ritrova nella villa del paese, anche con la pioggia, gente di paese e gente di campagna, ognuno con in mano, secondo la propria quantità di fede e di amici, rami di ulivo. Dalla campagna arrivano i massari con fasci interi di rami, che saranno benedetti e distribuiti nelle stalle per benedire gli animali. E con loro le donne, che già da una settimana prima hanno cominciato ad intrecciare teneri ramoscelli e foglie e a decorarli secondo le proprie abitudini, per creare ‘la palma’ da scambiare con amici e conoscenti, per regalare la pace. E questo rito non si compie mai in solitudine. Ci si incontra, le donne soprattutto, per intrecciare rami, parole e chiacchiere. Per compiere e ripetere un rito antico che ormai si conserva solo nelle nostre campagne. E si preparano tante ‘palme’. Per i tanti amici che si incontreranno davanti alla chiesa, in questo giorno magico, e anche per i defunti, che si andranno a visitare per portare loro fiori e pace. E nella villa del mio paese, io resto incantata ogni anno, da quando ero bambina, davanti a questi mazzi di palme, arricchiti di fiori di vecchie bomboniere conservati proprio per questo, o verniciati di argento o oro per farli durare di più. E magari chiusi in una busta di plastica accanto ad un’orchidea o giacinti profumati.

Ed è per questo che quest’anno ho deciso di organizzare un corso per imparare ad intrecciare questi rami di ulivo. Per ripetere insieme questa strana magia dello stare insieme allegramente, compiendo un rito antico. Intrecciando pensieri di pace. Per noi, per chi amiamo, ritrovandoci in campagna davanti al camino se farà freddo, sorseggiando cose calde e buone e imparando di nuovo a stare insieme per uno scopo semplice e creativo.

Il corso prevede:

1) Incontro in paese alle 9,00 in un punto prestabilito.

2) trasferimento in campagna, al mio trullo.

3) Presentazione del corso, cenni storici e prime spiegazioni su quali rami raccogliere ‘in diretta’

4) raccolta dei rami da intrecciare,  direttamente dagli alberi

5) inizio dimostrazione e lezione di ‘intreccio' e produzione personale di ‘Palme’.

Il corso si concluderà verso le ore 13.

Durante il corso si potranno degustare gratuitamente thè e tisane calde accompagnate da dolci tradizionali. Per chi avesse bisogno di indicazioni per un pernottamento presso B&B consigliati, per informazioni sui costi e per prenotazioni, scrivere a annagentiledg@yahoo.it oppure telefonare al 346.6339414

Possibilità di degustare anche un pranzo tradizionale della cucina pugliese, previa prenotazione.

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