24 marzo 2016

Ciucciarelli e Taralloni di Pasqua

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Da tre giorni cerco di scrivere questo post. Ma sono stata rapita e solo ora mi hanno liberata.
E’ Pasqua, e quando è Pasqua ci sono tante cose da fare dalla domenica precedente. Anzi dal sabato. Si vanno a raccogliere i rami di ulivo. La mattina dopo si va a messa presto e alle 7 devi già stare nella villa comunale dove si riuniscono i fedeli e il prete per la benedizione degli ulivi. Il problema è che alle 7 di tutte le domeniche delle Palme fa sempre un freddo terribile e tu, che ti DEVI alzare presto, quando invece vorresti stare al caldo nel letto, visto che hai sulle spalle una settimana di alzatacce, non ce la fai proprio a sentire una forte devozione. Intanto tutto sta arrivare li. Poi vedi una distesa di rami di ulivo, portati soprattutto da chi abita nelle campagne, che preparano fasci e fasci da mettere nelle stalle per benedire gli animali, e i cesti con le palme preparate dalle donne. Vedi i loro abiti della festa, indossati per rispetto, vedi le facce serissime, il loro silenzio in attesa del rito. E tutto questo è una gran tirata di orecchie per chi come me si lamenta perchè vuole rimanere a dormire. Quindi, riportata sulla buona strada, si segue la messa (lunghissimaaaa) e alla fine si è sempre felici di scambiare auguri e rami benedetti.
E questo succede la domenica delle Palme.
Poi inizia la Settimana Santa. Si comincia a parlare fin dal lunedi del pranzo di Pasqua. Dove andiamo, cosa prepariamo, chi prepara chi, chi compra cosa. Andiamo in campagna? No, fa freddo. Ma daaai, accendiamo il camino. No, fa freddo. Dai. No. Va bene, non andiamo. E dove andiamo? a casa di mamma. E li comincia il panico. Mia madre è una persona precisissima e quando fa le cose, le fa bene. Niente ritardi, è organizzatissima. E il panico le viene perchè deve contare su di me, che sono quella dell’ultimo minuto. E già al pensiero mi picchierebbe da subito.
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E cominciamo con i ciucciarelli. Che si devono prepare in quantità industriali, perchè, visto che richiedono una preparazione abbastanza elaborata, non li fa nessuno e quindi lei, che ‘si dispiace’, li prepara per tutti. Quindi il primo giorno si impastano uova e farina in quantità. Si preparano i ciucciarelli. Si fanno asciugare per almeno un paio d’ore, meglio tre. Poi si fanno sbollentare finchè vengono a galla. Si scolano e si mettono ad asciugare su un panno pulito. (Si riempiono praticamente tutte le spianatoie della casa). Il secondo giorno si controlla se sono asciutti bene e si mettono nel cesto storico con i manici, su una tovaglia pulita e si portano al forno del paese, dove il fornaio mette un pezzo di carta con su scritto il nome ‘Celestina’ e li mette li ad aspettare il loro turno, perchè ce ne sono molti altri di cesti in fila. Li porti la mattina, il pomeriggio vai a ritirarli, cotti. Riporti il cesto a casa.
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Il giorno dopo si prepara il ‘gilèp’, la glassa di zucchero. E li prima di iniziare si fa l’appello. Delle persone che devono collaborare, cioè io, e che vengono messe sull’attenti. Poi degli attrezzi che serviranno. Si mette la tovaglia, i ciucciarelli, le spianatoie pulite, il frullino per montare gli albumi, il cucchiaio grande di legno, e si mette subito l’acqua con lo zucchero sul fuoco, senza perdere tempo. Non bisogna tenere la tv accesa sennò ti distrai, se suona il telefono si risponde ‘chiamami fra due ore che prima non posso darti soddisfazione, sto facendo il gilèp’, non devi andare nemmeno in bagno, e non ti devi allontanare dal tavolo della cucina. Devi stare li e attendere ordini. Monta gli albumi (‘li hai montati bene? a neve ferma? fammi vedere, bè, nzòmm, si può fare sempre meglio’), si controlla continuamente lo sciroppo finchè fa il filo (‘mamma lo fa il filo’, ‘no, guarda bene, a un certo punto il filo si rompe. Non si deve rompere’). E si continua a controllare, finchè sto benedetto filo non si rompe più. Solo che a quel punto bisogna correre. Prende la pentola con lo sciroppo, non importa se non ce la fa, ce la deve fare, con l’altra mano impugna lo sbattitore (il frullino di prima) e tiene vicino vicino il cucchiaio di legno che fra un pò le servirà. Comincia a versare lo sciroppo nella coppa gigante dove stanno gli albumi montati e nel frattempo va di sbattitore. Piano eh! lentissimamente. (Ordine perentorio: ‘metti due dita d’acqua nella pentola e rimettila sul fuoco, scià veloce e torna qua’). Poi quando è tutto amalgamato spegne lo sbattitore e impugna il cucchiaio, perchè la prima è l’operazione rozza ora viene quella fina. E va di cucchiaio, ‘come quando batti le fave’ e va finchè è pronto, ma questo lo sa solo lei, perchè io ci ho provato, ma lo vedo sempre uguale, prima e dopo. Però lei sa. A quel punto ti dice ‘vai a prendere l’acqua bollente che mi servirà fra un pò’. Corro, prendo e torno. ‘A-ttentiiii’ accanto al tavolo. Comincia ad immergere i ciucciarelli e piano piano a disporli sulla spianatoia, fino a formare un ricamo. Prima spianatoia piena, portala via, ‘stai attenta a non farli cadere e a non cadere pure tu, ca tu si capèsc ca t vè min, cioè che tu sei capace che cadi’, ‘portami l’altra, veloce’. Agli ordini. E così fino alla fine del gilèp, dei ciucciarelli e delle spianatoie. Ecco……
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_MG_5763Ah! quest’anno si è aggiunta una chicca. Ho voluto provare anche a fare i Taralloni, che lei non ha mai amato, perchè non sono ‘delicati’ e ‘presentabili’ come i ciucciarelli. No, sono un pò ‘materiali’. Però mi ha voluto accontentare e dopo una ricerca della ricetta perfetta, li abbiamo preparati. Salto la descrizione della ricerca perchè sarebbe troppo lunga, anche se interessante per meticolosità e tempistica e telefonate. Il problema, o meglio la causa di un’arrabbiatura che, come quando ero piccola, poteva sfociare in una mazziata, si è presentato al momento di ricoprirli di ‘gilèp’. Questi taralloni giganti si devono coprire completamente, non come i ciucciarelli, solo in superficie, e, visto che lei procedeva con precisione con il cucchiaio, io le ho detto ‘mamma fai fare a me per una volta?’ e lei prima ha detto si, poi, quando ha visto che io ho preso una pinza da cucina, ho agganciato il tarallone e l’ho inzuppato tutto nella coppa, per poco non mi suonava in testa il cucchiaio di legno perchè ha ritenuto questa operazione da ‘acciavattòn’, cioè ‘persona che fa le cose in fretta e male’. E tra un rimprovero e l’altro, abbiamo finito anche questo lavoraccio.
Giuro, mi viene un’ansiaaaa, uno stress….. E lo stesso succede a Natale, per il torrone. E quando dobbiamo fare la salsa. E quando dobbiamo preparare i pranzi, che cominciamo ad agitarci da una settimana prima. Perchè lei, la mamma, dice che non si impara mai abbastanza e che anche se imparo, lei nel frattempo ha affinato la tecnica e io devo ancora raggiungerla.
Però è vero. Lei è proprio brava e insuperabile. Non solo in cucina, ma proprio come mamma. Attenta, instancabile, invincibile, presente, sempre. Ed è mia!
Ora vado a buttarmi sul divano.
Buona Pasqua a tutti voi.
Ah già! Le ricette!!!
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I ciucciarelli
- 2 cucchiai di zucchero
- 8 uova
- 50 g di olio
- 50 g di liquore
- 1 pizzico di sale
- 1 pizzico di bicarbonato
- farina q.b.
- un cucchiaino di sale fino
Impastare gli ingredienti e formare un salame grosso da tagliare a tocchetti. Schiacciare ciascun pezzo con il matterello fino a raggiungere lo spessore di un dito. Dare la forma tipica del ciucciarello (tipo un ideogramma cinese!!!) e metterli sulla spianatoia. Portare ad ebollizione una pentola capiente di acqua e immergere i ciucciarelli pochi per volta.
Quando vengono a galla scolarli e rimetterli ad asciugare su un canovaccio. Infornare a 180°-200° o, meglio nel forno a legna, fino a quando diventano dorati e gonfi.
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I taralloni
- 12 uova
- 150 g di olio
- 1 ditale di ammoniaca
- farina q.b. per ottenere un impasto morbido ma ‘lavorabile’
Impastare gli ingredienti e formare un salame grosso da tagliare a grossi tocchi. Formare dei grossi cilindri e avvolgerli a tarallo. Metterli sulla spianatoia. Portare ad ebollizione una pentola capiente di acqua e immergerli pochi per volta.
Quando vengono a galla scolarli e rimetterli ad asciugare bene su un canovaccio. Praticare delle incisioni lungo tutta la parte centrale del tarallo. Infornare a 180° o, meglio nel forno a legna, fino a quando diventano dorati e gonfi.
Il gilèp (o giulebbe o naspro)
- 1 kg di zucchero
- 250 g di acqua
- 2 albumi

Preparare lo sciroppo di zucchero facendo bollire lo zucchero nell'acqua.
Nel frattempo montare gli albumi a neve fermissima.
Per capire quando è arrivato il momento di procedere, versare qualche goccia di sciroppo di zucchero in un  piatto, far raffreddare. Con l’indice prendere una goccia, unire l’indice al pollice e controllare se fa ‘il filo’. Se lo fa significa che è pronto, altrimenti far bollire ancora un po’. Quindi versare a filo lo sciroppo di zucchero nella ciotola degli albumi montati a neve e mescolare velocemente con un cucchiaio di legno. Continuare a mescolare fino a quando la texture sarà liscia e vellutata.


Immergere ciucciarelli e taralloni nel ‘Gilèp’ e lasciar raffreddare e solidificare su una spianatoia.

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6 novembre 2014

Le case e le cozzelle.

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Stamattina il caffè ha un sapore più dolce del solito.  E ho l’impressione che questo addolcisca tutto quello che penso e quello che vedo.

Ieri è stata una giornata di messaggi. Alcuni brutti, di quelli che la mattina quando ti alzi, sai già che forse arriveranno, perchè ti svegli quasi come un senso di attesa fastidiosa, che svanisce all’improvviso, quando senti il ‘din’ giusto. Non tutti i ‘din’, ma tra tanti il tuo cuore lo sa qual è e te lo prepari ad ascoltare. E ascolti….

Poi, a sera tarda, ne arriva uno bello, anche quello lo aspettavi da tempo, ma non sapevi quando sarebbe arrivato. Ci sono cose della vita che, nonostante la tua caparbietà, la tua forza di volontà, non puoi forzare. Ci sono situazioni e scelte che si sistemano da sole, perchè devono seguire il proprio corso. C’è un tempo per tutto… e tu non puoi comandare sul tempo. E’ come se qualcuno avesse deciso per noi da molto, quale debba essere il percorso che dobbiamo fare. E a noi non resta altro da fare che chinare il capo e accettare tranquillamente. Ho alzato mille volte la testa e i pugni, per lottare, con forza e urlando, ma mai, dico mai, ho ottenuto quello che volevo. Ho dovuto aspettare. E poi quasi magicamente le cose hanno fatto il loro corso e le soluzioni sono arrivate.

Io ho scelto lei e lei ha scelto me. Quando si va in giro in cerca di una nuova casa, non bisogna mai studiarne i particolari o ostinarsi a ragionarci su. Si parte da quanto puoi spendere e si scartano subito i sogni impossibili. Tra quelli raggiungibili si entra con cuore aperto e bisogna afferrare al volo la prima sensazione che vivi. La prima e solo la prima. Quelle che seguono sono di contorno e di affinamento. E’ il primo assaggio. Come di un vino, di una buona cioccolata, di un piatto speciale. Devi catturare la prima impressione. E su quella ragionarci. Capire il perchè,  e vedere se tutte le risposte bastano ad accettare anche le cose che non vanno. Poi si va via e ci si dorme su. E la scelta viene da se. Se non ti torna in mente più significa che non ti è entrata dentro. Se invece cominci a pensarci significa che ‘si può fare’,  si può tentare….

Di certo farò mie le storie che mi racconterà, le storie di chi ci è passato, assorbite dai muri e dagli oggetti che troverò. Perchè se in una casa c’è stato amore, amore si respirerà.

Inizia ora una nuova fase della mia vita. Un nuovo capitolo. Una nuova casa da vivere, da aggiungere a quelle che ho. Aprirò un nuovo spazio, fuori e dentro di me. Vivrò un pò qui e un pò li, vagabonda per raggiungere chi amo, sempre con la valigia pronta.

Vedremo (anche perchè non si conosce bene la data di inizio di questa avventura….)

Ora passiamo alla ricetta.

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Anche in questo caso aspettavo il momento giusto per pubblicare questa ricetta. E, aspettando aspettando, è arrivato. Oggi si parla di ‘cozzelle’, come si chiamano da noi le lumache. Si si, proprio quelle che si portano la propria casa con se, sempre e ovunque. Quasi una metafora di quello che siamo anche noi, che ovunque ci spostiamo, ci portiamo dentro quello che davvero è casa, i nostri affetti.

Ogni luogo ha la sua ricetta per le lumachine, e io qui vi racconto la mia. Ricetta e storia.

Nei giorni di estate, dopo gli acquazzoni che profumano l’aria di buono, quando i campi sono pieni di ‘rstùcc’, gli steli tagliati dopo la mietitura, si aspetta che il caldo faccia venir fuori le lumache. E così, dopo la pioggia, magicamente compaiono, tutte appollaiate sugli steli, sulle pietre dei muretti a secco, sui tronchi degli alberi di mandorlo, di ulivo e di ciliegi. E allora tutti dicono… ‘Dai, andiamo a cozzelle?’. E si va a raccogliere tutte queste sprovvedute, che comunque non potrebbero mai scappare, scansando quelle sulle erbe amare. Si mettono in un contenitore che si può coprire, perchè prima o poi, rendendosi conto della fregatura, tentano di scappare, lentamente, venendo fuori e salendo salendo nel cesto, verso l’uscita.

Certo questa ricetta è crudele, ma appartiene ad un tempo dove non si badava tanto a fare gli animalisti. Era buona e basta, faceva parte quasi del gioco della vita, dove animale mangia animale e basta. E le cozzelle erano semplicemente uno dei piatti estivi, raccontato e sognato,  passeggiando con i bambini nei campi. E basta. Quindi ora, chi è troppo sensibile per continuare, si fermi pure qui.

Si portano a casa e si mettono a ‘spurgare’, brutta parola, ma necessaria. Per un giorno almeno, in uno scolapasta coperto. Devono ‘liberarsi’ del superfluo prima di essere cucinate. Quindi si lavano e si mettono in una pentola alta, in acqua fredda, sul fuoco medio. E la crudeltà sta proprio qui. Non bisogna far capire loro la sorte che li aspetta. Accarezzate dolcemente dall’acqua che diventa tiepida, vengono fuori, ignare. Appena fuori, si alza la fiamma per …. continuare. Si formerà una schiumetta che va tolta. A questo punto si aggiungono gli aromi. Origano, pomodori, prezzemolo, aglio, un filo d’olio e una foglia di alloro. Si copre con un coperchio e si fanno cuocere per almeno un quarto d’ora.

Per gustarle al meglio e in maniera primitiva, si mangiano succhiandole (ma gli schizzinosi, le prendono con lo stuzzicadenti). Per facilitarne l’uscita, con i denti si fa un piccolo buco nel guscio, ma bisogna aver acquisito una certa abilità, dopo anni e anni di allenamento, per capire qual è il punto esatto. Decisamente non è un piatto proprio raffinato, ma più uno sfizio ricercato, per chi non ha paura di sporcarsi, e per chi non si innervosisce a sentir gli altri fare quel rumore inevitabile e fastidioso dei tentativi di … aspirazione della lumaca.

A me piace e mi ricorda la mia infanzia, quando ancora, non si alzavano polveroni al suon di ‘Che peccato le cozzelle!’. Ma la prossima estate, provate anche voi e poi ne riparliamo.

Alla prossima.

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13 novembre 2012

Raccolta delle olive 2012 e il ‘panino della raccolta’

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Oggi tutto intorno a me è circondato dalla nebbia. Ormai sembra roba di altri luoghi e il freddo stenta ad arrivare. Eppure, come la natura, sento che un pò di freddo ci vuole. Non è normale tutto questo tepore (20° a metà novembre) che continua imperterrito da aprile. Nei campi c'è la raccolta delle olive e dai frantoi arriva un odore caldo e profumato di olio nuovo. Sembra l'inizio di un tema. E le sensazioni vissute qualche giorno fa sarebbero proprio da raccontare, ed è per questo che oggi sono qui: per condividere con voi la gioia di una giornata con tanto sole, tanti profumi e tante risate. Anche di tanta stanchezza in verità, perchè alla fine della giornata ero felice si, ma stanca, ma stancaaaa, che mi faceva male tutto, anche i capelli e, una volta ferma sul divano per 'cinque minuti di riposo', non son più riuscita a rialzarmi. E' vero che ho l'entusiasmo e la gioia di vivere di una bambina per queste occasioni che la vita mi offre, ma è anche vero che non sono particolarmente allenata per i lavori di campagna. Accarezzo sempre l'illusione di vivere in compagnia delle persone a me care la condivisione di questi 'eventi', come la raccolta delle olive o la preparazione della salsa di pomodoro, ma in maniera quasi inspiegabile, si accavallano sempre impegni proprio in quei giorni e così, a parte qualche amico di buona volontà che è apparso per un pò in campagna, sotto ad un paio di alberi, per il resto è stata una giornata vissuta a due. Comunque è stato bellissimo ... e aspetto l'anno prossimo per ripeterlo ancora (però meno male che passa un anno, così ho la possibilità di rimettermi in forze)

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La mattina si arriva canticchiando e si stendono le reti allegramente sotto gli alberi sulla terra che ora è verde di erba e profumata di umidità. E si cominciano a 'pettinare' i rami carichi di olive con dei rastrelli di plastica morbida che dolcemente staccano i frutti e li fanno cadere. Inizia una specie di balletto per evitare di muoversi maldestramente e schiacciare le olive, e così ci si ritrova come il gioco 'Twister' con le gambe incrociate e le braccia in posizione stretching verso dietro, in equilibrio precario, ma dura poco perchè o cadi, o schiacci le olive o vedi di cambiare posizione.
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Quando hai finito di raccogliere tutte le olive di un albero raccogli le reti come fanno i pescatori e, prima di versare i frutti nella cassetta cerchi di eliminare i rametti e le foglie verdi. Magari ogni tanto ti sdrai pure sulle olive per sentirne da vicino il profumo meraviglioso che si sprigiona (soprattutto se, grazie al peso, le schiacci!!!)... e così via di albero in albero si continua....

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Poi arriva il momento della pausa pranzo, ma non ci si può fermare per molto altrimenti 'il sangue si raffredda e non si riparte più', quindi 'allegr allegr' (se eliminate l'ultima lettera delle parole parlate meridionale, cit. Benvenuti al sud), 'velòc velòc' si mangia un panino (buonissimooooooo) e si ricomincia....

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  Poi verso l'ora del caffè si prepara la caffettiera gigante (che nel frattempo, verso la fine della giornata sono arrivati gli amici e la mamma che viene a giudicare l'operato e tu cerchi di catturarla nella rete....), e si beve tutti insieme in mezzo alla campagna, sotto gli alberi e tra le reti (e qualcuno cade pure!).

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_MG_5387   E alla fine di questa estenuante giornata si portano le olive al frantoio dove, secondo mio marito, tutti dicono che non hanno mai visto olive così belle e così buone, e di ottima qualità, e raccolte al momento giusto, nel giusto equilibrio tra mature e acerbe e che SICURAMENTE  ci darà TANTISSIMO olio, magari il migliore che si sia mai visto in zona.....
Ma questo è l'argomento di un prossimo post e vedremo..... (oggi pomeriggio vado a ritirare l'olio nuovo!)

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Intanto vi lascio la 'ricetta' del 'panino veloce della raccolta delle olive'.

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Panino veloce della raccolta delle olive
- mezza baguette fresca a testa
- formaggio spalmabile 
- erbe fresche raccolte proprio allora dal proprio orto (erba cipollina, rosmarino, timo e salvia)
- pomodorini ciliegino (magari anche quelli dell'orto, ma qui è un pò difficile...)
- salame cacciatorino
- lattughino e/o rucola
- sale e olio extravergine di oliva
Tagliare il cacciatorino a fette non molto sottili (sennò non c'è gusto). Tritare fini le erbette appena raccolte e aggiungerle al formaggio fresco spalmabile. Tagliare a metà i pomodorini. Tagliare a metà nel senso della lunghezza la baguette. Su una metà spalmare il formaggio alle erbe. Sull'altra cominciare a 'stratificare' nell'ordine, il salame, i mezzi pomodorini, lattughina e/o rucola. Aggiungere pochissimo sale e un filo d'olio.(se non lo mettete non sarà lo stesso garantito). Coprire con la metà con il formaggio. Addentare ad occhi chiusi e godersi questo momento magico.

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